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Strychnine Twitch

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Capitolo 1

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»Titolo: I am the fink, I am the sinner - Capitolo 1
»Data di pubblicazione: 20 Aprile 2013
»Words: 2613

 

 

Capitolo 1

 

-Bentornato. Noto con piacere che si è affezionato al mio ufficio ultimamente Mr. Pritchard. Cominciava a mancarmi sa? Da quanto tempo non ci vediamo noi due? Da questa mattina alle 8.00, dico bene?

-Vuole tenermi qua tutto il pomeriggio per farmi la ramanzina o può chiamare mia madre alla svelta, dirgli che “Michael è violento.” e lasciarmi andare? - Sbuffai guardandomi le pellicine che spuntavano dai lati delle unghie della mano sinistra. Sembravano dannatamente interessanti, soprattutto in quel momento.

Come se nulla avessi detto, Stunk continuò -Per cosa è stato mandato qui questa volta? Chi ha picchiato? Che lezione ha marinato? Che professore ha deriso?

-Ho semplicemente fatto notare alla Brown che io non ho bisogno di studiare diritto, ma che dovrebbe farlo lei visto che sta per divorziare dal marito e dovrebbe trarne tutti i vantaggi possibili. - Alzai gli occhi al soffitto annoiato da quella situazione scomoda.

-Per prima cosa è Mrs. Brown, deve imparare a portare rispetto ai suoi educatori. Inoltre il divorzio della professoressa non è affar suo se non sbaglio. - Parlava così solo perché la ragione del divorzio era lui. Lui e la sua stupida storia con la stupida Muriel Brown.

-Non lo sarebbe se quella non sfogasse tutta la sua rabbia repressa stressandoci con compiti sul matrimonio e la legge. Farsi consegnare almeno il marciapiede davanti a casa per continuare a battere era solo un consiglio, non so perché l'abbia presa così male.- Sollevai un angolo delle labbra in un sorrisetto ripensando a quanto fosse divertente la mia battuta.

Il preside compilò un foglio e me lo affidò da consegnare a casa. Era il secondo richiamo scritto di quel giorno. Nel primo si avvisava la “Gentile Signora Pritchard” che suo figlio si aggirava per i corridoi della scuola con una sigaretta in bocca. Gli strappai di mano il pezzo di carta e lo infilai nella tasca dei jeans rovinati che indossavo senza prestare la minima attenzione al nuovo fiume di parole che usciva dalla bocca del preside. Per quanto ancora avrebbe continuato? Mi alzai e dopo essere uscito sbattei la porta alle mie spalle provocando probabilmente nuove lamentele da quell'idiota. Presi una Lucky Strike dal pacchetto che avevo in tasca e la posai tra le labbra. Per oggi sarei tornato a casa, fanculo alla scuola, fanculo ai richiami scritti, fanculo a quella bocchinara della Brown e a quel coglione di Stunk. Mentre attraversavo il cortile aspirando dalla sigaretta sentii un rumore. Mi voltai vagamente interessato a ciò che stava succedendo e con ben poco stupore vidi un ragazzo chinato per terra a raccogliere i libri appena cadutigli dalle mani.

Mi avvicinai e questo, notandomi, alzò lo sguardo verso di me. Indossava un paio di occhialetti rotti nel centro e aggiustati con del nastro adesivo, come ogni bravo secchione che si rispetti.

-Puoi... Puoi aiutarmi?- mi chiese timido.

Sollevai un sopracciglio trattenendo una risata dentro di me. Ognuno di quei topi di biblioteca si sarebbe limitato a darsi una mossa e filarsela alla svelta, cercando di scappare dal “bullo” più grande che li minacciava e si accaniva contro di loro praticamente tutti i giorni, ma lui no, mi stava chiedendo una mano. Doveva essere nuovo, non mostrava più di diciassette anni, anche se con quella faccia tutta curata e da effeminato chi poteva dirlo? I froci sembrano tutti più giovani. Gli avrei presto fatto vedere come funzionavano le cose lì, nella mia scuola. E in quel momento la cosa più giusta da fare era dargli la prima importante lezione: Gli sfigati soffrono.

-Ma certo amico.- Dissi con voce piatta. Mi chinai e raccolsi i cinque volumi dei latino, una volta rialzati in piedi glieli poggiai fra le braccia e gli sorrisi.

-Grazie mille per avermi aiutato con i libri, non avevo visto lo scalino.

-Quello scalino è lì da sempre. - Rimbeccai.

-Sono nuovo qui. - Si giustificò lui.

-Come ti chiami?

-Billie, Billie Joe. - Sembrava così a disagio per le mie domande. Ma ci ero abituato, tutti quelli come lui si sentivano minacciati dalla mia presenza.

Quello era il momento giusto, prima che potesse anche solo accorgersene gli sferrai un pugno nell'addome senza pormi l'obbligo di dosare la forza. Come era evidente lo vidi piegarsi in due per il dolore, il viso gli divenne rosso e vidi che non riusciva a respirare. Alzò gli occhi verso di me in cerca di una spiegazione, al posto della quale ricevette una spinta. Cadde all'indietro mentre ancora si teneva la pancia per il pugno di poco prima. Lo guardai giacere ai miei piedi. Per questo lo facevo, la sensazione di potere che si prova vedendo la propria vittima chiedere pietà con gli occhi perché la voce non riusciva a uscire dalle corde vocali troppo tese. Con un ghigno gli diedi un calcio nei reni a cui lui rispose con uno spasmo. Adoravo sentire il potere scorrermi dentro. Quella piacevole sensazione inibiva la mia mente, come l'alcool, come una canna. Una lacrima gli stava scivolando lungo la guancia. Più stavano male più io mi sentivo appagato.

Mi chinai su di lui e gli sollevai il capo tirandogli i capelli scuri. Volevo farlo sentire inutile e impotente, volevo che capisse quale fosse la sua posizione, a me sottomesso, a me debitore. -Ti spiegherò una cosa Billie Joe: nessuno sfigato rivolge la parola a Mike Dirnt. Nessuno.- Alzai la voce -Capito?

Lui rimase in silenzio, come se non facesse nemmeno caso alla mia presenza. Gli strattonai di più i capelli -Rispondi! Hai capito?- Quasi urlai.

Il ragazzo annui piano, non indossava più gli occhiali che erano finiti vicino ai miei piedi mentre cadeva. Ora mi osservava con i suoi occhi chiari pieni di lacrime. Mi sentivo così potente, avrei potuto creargli gravi danni anche in quel momento se solo avessi voluto. Gli avrei strappato quell'espressione da frocio dalla faccia e l'avrei sostituita con una maschera di sangue.

-Dì di sì. Voglio sentirtelo dire.- Intimai avvicinando la mano serrata a pugno al suo viso.

-S...sì- fece lui con voce spezzata.

Gli sorrisi, un sorriso che metteva paura. -Molto bene, frocio.

La sua punizione per ora era finita. Gli lasciai i capelli e mi sfregai la mano sulla t-shirt, per pulirmi dal suo sudore. Mi alzai in piedi e lo guardai.

-Adesso alzati.- Gli intimai. -O ti faccio fuori. Gli diedi uno scossone col piede e lui con lo sguardo basso si mise a sedere. Le sue guance erano percorse la sottili scie bagnate, il lato destro del viso si era graffiato a contatto con il cemento. Non perdeva sangue, ma avrei rimediato anche a questo se non mi avesse subito ubbidito. Raccolse i libri, riuscivo a udire i suoi flebili singhiozzi. Finalmente di mise sulle sue gambe. Era davanti a me, non era ancora scappato. Sicuramente aveva intuito che lo avrei preso e l'avrei punito nuovamente per la sua mancanza.

-Che cazzo ci fai ancora sulla mia strada? - Gli sbraitai contro dandogli così il mio permesso per andarsene. Non si mosse e io lo fissai a lungo per farmi un'idea delle sue intenzioni.

-I... I miei occhiali, io... non li vedo potresti passarmeli?- Mi chiesi se per caso quel ragazzo non fosse un masochista. Forse non si rendeva conto a cosa poteva andare incontro. Forse non capiva con chi aveva a che fare. Cercai in terra e finalmente i miei occhi incontrarono la montatura scura, le lenti erano uscite incolumi dallo scontro col terreno. Il rumore delle lenti che si infrangevano sotto la suola delle mie scarpe non modificò quasi per nulla l'espressione mortificata sul volto del ragazzo. Peccato. Raccolsi gli occhialetti crepati e glieli porsi.

-Ecco a te.

Lui li prese dalle mie mani e li infilò per poi guardarmi. -Grazie. - Gemette per paura che gli facessi di nuovo del male. A quel punto mi girai pestando la sigaretta che qualche minuto prima era caduta senza che me ne accorgessi.

Era la prima volta che mi divertivo così tanto, che provavo un tale controllo su una persona. Le altre volte, le mie vittime scappavano e non mi davo pena di rincorrerle, troppo impegnativo, non ne valeva la pena per loro. Ma quel ragazzo, era rimasto lì, si era sottomesso alla mia volontà e aveva sofferto in silenzio. Un silenzio che urlava di dolore. E io percepivo quegli strilli forti e chiari nella mia testa.

-Billie Joe...- Assaporai il suo nome sulle labbra, rammaricandomi del fatto che ora si sarebbe di certo tenuto alla larga e io non avrei più potuto godere della sua angoscia.

***

Nonostante fossi uscito da scuola un'ora in anticipo non andai a casa subito. Non avevo assolutamente voglia di stare compresso in quelle quattro mura così accoglienti e così poco familiari allo stesso tempo. Era difficile definire il mio rapporto con casa. Là stavo bene, a volte. Ma solo perché era l'unico posto che avevo oltre alla strada. Non sentivo un particolare legame, come di certo valeva con mia madre. Se l'abitazione fosse finita in fiamme e mia madre pure credo che neanche avrei pianto. Non mi sarebbero mancate. Avevamo quel genere di rapporto che si ha con la gente che si conosce appena. Si è gentili, si parla del più e del meno, ma nessuno di noi era interessato di fatto a tentare un approccio più profondo, quello che dovrebbero avere una madre e un figlio.

Mio padre nemmeno c'era più. Non c'era mai stato in realtà. Dopo aver ingravidato la sua fidanzata da giovane era scappato per paura di dover crescere me, suo figlio. Come biasimarlo in fin dei conti? Se l'avessi saputo, io nemmeno avrei voluto nascere. La vita mi faceva schifo. Di certo non avevo intenzione di ammazzarmi ma l'idea della morte non mi spaventava. Tornando a mia madre, con lei andavo d'accordo, insomma quando si conosce superficialmente una persona non vi si litiga spesso. Il culmine del nostro rapporto era quando lei mi raccontava dei miglioramenti dei suoi pazienti, mi parlava specialmente di quelli della mia età, facendo riferimento ai problemi che avevano e al fatto che molte volte non reagivano. Ho sempre pensato che questo suo genere di interesse fosse intenzionato non a stabilire un rapporto di fiducia, ma a migliorare le sue competenze in campo psicologico. Strano per una psicologa avere tali atteggiamenti nei confronti del figlio, no?

Aprendo una parentesi abbastanza inutile, visto che immagino l'abbiate già capito, lei non mi voleva. Non mi ha mai voluto. Lei amava mio padre più di qualsiasi altra cosa, se avesse potuto scegliere avrebbe scelto lui. Non me. Ma questo non gliene aveva data possibilità. Aveva fatto perdere le sue tracce e io sono l'unica cosa che le ricorda l'agonioso rapporto con lui. Sono l'errore indelebile che non ha nemmeno provato a cancellare. Col tempo poi si è abituata alla mia presenza e l'ha accettata come un dato di fatto. Nulla di più. Inutile sprecare tempo per cercare qualcuno che mi adottasse. Il meglio per me? L'avrei cercato da solo. Lei non poteva perdere tempo per il sottoscritto.

La mancanza di affetto non ha mai fatto breccia in me. Va bene così. Son contento di non dipendere da nessuno e di doverla considerare solo la mia coinquilina in quella casa che non ha nulla di familiare come ho già detto, ma è l'unico posto che ho. Parentesi chiusa.

Rientrai a ora di cena. Dall'odore di bruciato capii subito che mia madre si era dimenticata i pasti preriscaldati nel microonde. Ecco perché non mangiavo mai a casa, e perché spesso rimanevo a digiuno. Quella roba mi dava il voltastomaco. Entrai in cucina tolsi le vaschette argento da quella prigione scottante, le poggiai sul tavolo.

-Mamma!- Urlai rivolto alla zona notte. -E' pronto - ed hai bruciato tutto ancora una volta, pensai tra me e me.

-Arrivo, comincia senza di me. -La sentii strillare a sua volta dal bagno.

Così mi sedetti a tavola e dopo aver indugiato sul primo boccone, trangugiai la pasta simile a gomma.

Mentre inghiottivo la quinta forchettata mia madre entrò in cucina. Indossava la camicia da notte e un asciugamano le avvolgeva i capelli lunghi.

-Come è andata oggi a scuola?- Disse con tono piatto, tutt'altro che interessato, come faceva ormai da anni.

Come risposta le buttai i due richiami vicino al piatto. Lei li lesse velocemente senza nemmeno cogliere le parole. Li accantonò senza darvi importanza e cominciò a parlare come al solito della sua giornata molto impegnata tra i poveri e depressi pazienti.

Come da rituale non le prestai ascolto limitandomi ad annuire.

Dopo una ventina di minuti fece una pausa e si girò a guardarmi. -Alla fine, proprio mentre stavo per uscire è arrivato questo ragazzino, non doveva aver passato una bella giornata a giudicare dall'aspetto dei suoi occhiali. Beh, insomma dicevo, la segretaria mi ha detto che secondo lei doveva essere molto urgente, così nonostante non avesse preso appuntamento mi sono offerta di ascoltarlo per una mezz'ora. Ha la tua età, diciassette anni- mi guardò come se improvvisamente cercasse una conferma e io annuii per farla continuare -solo che non sembrava, il suo aspetto era come quello di un quindicenne. Ad ogni modo, ha detto che viene nella tua scuola, lo conosci Mike?

Girando gli occhi riposi -Nella mia scuola vengono circa millecinquecento studenti e tu mi hai detto solo che porta gli occhiali e ha la mia età, come posso dirti se lo conosco, eh?

-Come sai non posso dirti il nome, romperei il segreto professionale.- Mi astenni dal farle notare che praticamente mi sputtanava continuamente tutte le storie di coloro con cui doveva mantenere il segreto professionale e la guardai aspettando che continuasse. -Ha detto di essere nuovo qui e che voleva parlarmi perché si sentiva leggermente pazzo.

-In che senso? -Buttai lì senza dare peso alle sue parole.

-Mi ha raccontato di questo ragazzo, un bullo che evidentemente viene nella vostra scuola, che oggi l'ha malmenato.- Solo allora collegai e raggiunsi l'idea che sicuramente parlava di Billie Joe. Ero interessato all'argomento. Avrei trovato un nuovo espediente per picchiarlo e provare quella meravigliosa sensazione di potere che mi aveva pervaso quella mattina.

-Capisco.- Dissi semplicemente -Nella nostra scuola ci sono un sacco di bulli, ma che c'è di strano in tutto ciò?

-Mi ha detto che non era la prima volta, cioè anche nella scuola dove stava prima gli era capitato di essere pestato, ma scappava appena poteva, questa volta invece è rimasto ad aspettare il permesso di andarsene, perché in fondo, non ne sentiva la necessità. - La guardai stupito da ciò che stava dicendo, e senza dubbio, sempre più interessato. -Ovviamente non sono riuscita a spiegargli la motivazione di tutto ciò. Lo trovo uno strano comportamento ed è da quando se n'è andato che ci penso. Poverino, mi faceva una pena. Sembrava così imbarazzato e incapace di esprimere ciò che voleva. A te è mai capitata una situazione simile? Che ne pensi?

-No, mai, e non saprei cosa dirti. -Mentii desideroso di sapere di più. Si sentiva il mio schiavo o qualcosa di simile, voleva ubbidire e l'avrebbe fatto se gli fosse stato richiesto. Dovevo sapere di più e giocare queste carte a mio favore.

-Così mi sono limitata a dirgli di stargli alla larga e lui ha risposto che ci proverà e che tornerà a informarmi se ci saranno novità. Ovviamente gli ho raccomandato di parlarne con i genitori.

-Cazzo.-Gemetti al pensiero che avrei corso il pericolo di non averlo più tra le mie mani.

-Cosa?

-No, nulla mamma, pensavo che domani ho il compito di geometria e non ha nemmeno aperto il libro. -Dissi semplicemente.

-Ah... D'accordo Mike, forse dovresti andare in camera tua e metterti sui libri allora.

Mi alzai e me ne andai a letto.